Si rinnova, come ogni anno, il tour pontino della fondazione Antonino Caponnetto nelle scuole del territorio della provincia di Latina. Una full immersion che ha preso avvio con l’incontro andato oggi lunedì 28 marzo a Latina, presso il Liceo Classico Dante Alighieri, al quale ha partecipato Salvatore Calleri, presidente del sodalizio antimafia. Un evento fortemente voluto dalla scuola, impreziosito dalla presenza del questore di Latina Niccolò D’Angelo, già protagonista nel contrasto alle criminalità organizzate. Tra i relatori anche Antonio Di Lauro, responsabile della Campania per la Fondazione Caponnetto. Al centro del dibattito l’ecomafia e l’illegalità dilagante che offendono il nostro territorio, con una precipua attenzione al ruolo che le giovani generazioni devono incarnare per rendersi protagonisti di quella “rivolta morale” invocata a novembre dal procuratore Piero Grasso , nel corso del Vertice antimafia di Campi Bisenzio. Un evento al quale prese parte anche una delegazione del Dante Alighieri. Ma questa tappa è stato solo l’incipit del tour che porterà la fondazione in quattro diverse realtà del nostro territorio: Formia, Gaeta e Minturno, per riannodare i fili del confronto con gli studenti tessuto in questi anni di incontri ed eventi. Prenderanno parte ai confronti già programmati anche Lorenzo Diana, coordinatore nazionale di Insieme per la Legalità e Antonio Iafano, responsabile territoriale di Ammazzatecitutti.
lunedì 28 marzo 2011
mercoledì 23 marzo 2011
E' l'ora di strategie antimafia a tutela del territorio
L'articolo pubblicato da Latina Oggi, nell'edizione di mercoledì 23 marzo 2011, relativo alla presa di posizione della Fondazione Antonino Caponnetto all'indomani della recente operazione "Verde Bottiglia".
domenica 6 marzo 2011
Percorsi di Legalità venerdì 11 marzo a Chieti
La locandina dell'evento |
Si ripeterà, come ogni anno, venerdì 11 marzo, alle 10, presso l’Auditorum del rettorato dell’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti – Pescara il progetto “Percorsi per la legalità” fortemente voluto dall’ateneo ospitante, la Voce di Fiore, le fondazioni Antonino Scopelliti e Antonino Caponnetto, le associazione Ammazzateci Tutti e Verso Sud. Sottotitolo dell’evento: “I giovani contro le mafie. ‘Ndrangheta made in Germany’ e ‘Primo sangue’, in due libri la violenza e la strategia espansiva della mafia calabrese, presente anche in Abruzzo”. Diversi gli interventi programmati. Ad aprire l’evento sarà il magnifico rettore Prof. Franco Cuccurullo; quindi Giuseppe Lumia, senatore della Commissione Parlamentare Antimafia; Nicoletta Verì, presidente comm. Affari sociali e tutela della salute Regione Abruzzo; Nicola Trifuoggi, procuratore della Repubblica di Pescara; Antonello Canzano, docente di Sociologia dei fenomeni politici UdA; Antonio Iafano, Referente di “Ammazzatecitutti”; Emiliano Morrone, scrittore, “La voce di Fiore”; Raffaele Vallefuoco, responsabile “Fondazione Caponnetto” – Lazio, Luigi Resta, i Guardiani del Borgo Antico, Palagianello (TA). A moderare l’incontro sarà il giornalista e scrittore Orfeo Notaristefano, instancabile organizzatore dell’appuntamento.
Amministrazione Obama, consuntivo di metà mandato
Obama tra i giovani democrat |
di Walter Veltroni
(articolo pubblicato in esclusiva sul numero ottobre / novembre di Wow)
“Mi prendo tutta la responsabilità. Il potere è dei cittadini, io sono qui per servirli, ho il dovere di ascoltare il messaggio”. Così, all’indomani del voto di mid-term, Barack Obama ha commentato, con grandissima onestà e altrettanta franchezza, la secca sconfitta dei democratici. Una sconfitta che in effetti riguarda direttamente il presidente americano, sottoposto, come d’altra parte era già successo a molti dei suoi predecessori, compresi i più recenti, da Reagan a Clinton fino Bush (poi tutti vittoriosi nelle successive elezioni presidenziali), al severo giudizio degli elettori. Ma cosa ha significato, al di là del dato inequivocabile dei sessanta deputati democratici in meno al Congresso, questo voto? Obama ha detto di aver recepito il messaggio, ma quel che è successo significa anche, per caso, che quelle due parole, change, cambiamento, e hope, speranza, attorno alle quali aveva costruito la sua narrazione e articolato le sue concrete proposte nella eccezionale campagna elettorale del 2008 hanno già perso la loro forza, la loro capacità evocativa, il loro profondo senso politico? Vorrei dirlo con chiarezza: io credo di no, sono convinto che non sia così. E non solo perché lo stesso Obama era perfettamente consapevole delle difficoltà sin dalla sera della sua straordinaria vittoria, quando rivolgendosi alla gigantesca folla che lo salutava disse: “la strada che ci aspetta è lunga e in salita”. Sono convinto che la speranza sia ancora viva e che il cambiamento sia ancora possibile, per il semplice motivo che è stato avviato, è in corso, e se non tutto è proceduto con la velocità e la profondità che si poteva auspicare, nessuno che abbia un minimo di onestà intellettuale può negare la realtà delle cose. A cominciare da un fatto: se l’economia americana sente ancora i morsi della crisi, se la disoccupazione è un problema bruciante, vorrà forse dire che non è stato fatto abbastanza, ma non che nulla si è fatto per fronteggiare quella che, non lo si dimentichi mai, è una delle tristi eredità dell’Amministrazione Bush. Tre milioni di posti di lavoro in più sono un fatto, non una opinione. E che dire delle regole per i mercati finanziari e di quella vera e propria rivoluzione rappresentata dall’avvio di una riforma sanitaria che servirà a tutelare milioni di cittadini non così poveri da avere qualche forma di assistenza ma nemmeno così ricchi da potersi permettere una costosa assicurazione privata? C’è poi, in politica estera, l’inizio di un nuovo corso, nel segno del multilateralismo e della cooperazione con il resto della comunità internazionale, voltando finalmente pagina rispetto al tempo dell’unilateralismo, delle presunzioni di autosufficienza o di teorie aberranti come quella della “guerra preventiva”. La mano tesa al mondo islamico, l’aver imboccato con decisione la strada del disarmo nucleare, l’avvio del ritiro dall’Iraq, il tentativo di ricucire il filo dei negoziati in Medio Oriente sono tutti passi conseguenti, figli di una visione che vuole far recuperare all’America quel ruolo di leadership morale che nella storia del Novecento spesso è stato suo, con beneficio del mondo intero. Non è un caso che i repubblicani, e il nuovo e per molti versi inquietante fenomeno dei Tea Party, si siano scatenati tanto contro il Presidente in carica: il cambiamento ai conservatori fa paura, e il loro tentativo è di fermarlo sul nascere, prima che si consolidi, prima che l’azione dell’Amministrazione democratica consenta di uscire dalla crisi ereditata dal recente passato e cominci a dispiegarsi in tutte le sue potenzialità. Un rischio, su tutti, Obama deve però evitare: quello del tecnicismo, del pragmatismo, che in politica serve, per carità, ma non privo di idealità, di capacità evocativa e se necessario di radicalità. Forse è proprio questo, però, il messaggio che Obama ha per fortuna compreso, perché è lui stesso ad aver detto, sempre all’indomani del voto: “Alla Casa Bianca corro il pericolo di vivere come in una bolla. Quando ero un candidato gli americani si identificavano con la mia storia personale. Ora ho bisogno di tornare più spesso là fuori”. E’ così. In America come ovunque, è fuori dai palazzi, lontano dalle alchimie di cui troppo spesso la politica è intrisa, che si possono trovare le risposte e le soluzioni alle domande e ai problemi delle persone.
sabato 5 marzo 2011
Caos in Egitto, prove di democrazia
Due milioni di egiziani in Piazza Tahrir |
L’Egitto ha imboccato il cammino verso la democrazia. Un sentiero battuto a ritmo di “Pane e Libertà”. Per 18 giorni gli egiziani hanno sfidato il regime trentennale di Mubarak, manifestando anche con tenacia la propria volontà di riforma. Una rivolta sanguinosa, certo. Ma alla fine piazza Tahrir ha avuto la meglio su un potere, accomodante per l’Occidente, considerando il dialogo praticabile, ma che il popolo considerava ostile. I vox populi, le interviste ai manifestanti sembravano andare in una sola direzione: cambiamento. In fondo sembravano volersi appellare al 3 punto dell’articolo 21 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo che scandisce: “La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo”. C’è voluto coraggio. Lo hanno avuto gli egiziani a sfidare il regime, lo ha avuto l’America che ha spalleggiato la protesta, pur esprimendo inizialmente un po’ di disagio. Alla fine, però, il presidente Obama ha esultato: “Il popolo egiziano ha smentito l’idea che la violenza è la via per la giustizia”. Una posizione che premia il diritto di autodeterminazione di un popolo, ma che desta, comunque, qualche diffidenza. C’è la paura che la rivoluzione possa generare un nuovo regime fondamentalista. Ma non tutti gli analisti sono concordi con questa visione. Giovanni De Mauro, direttore del settimanale Internazionale, ha espresso il suo ottimismo, riprendendo le parole di Slavoj Žižek, il quale ha condannato “l’ipocrisia dei liberal occidentali … i quali hanno sempre sostenuto la democrazia, ma ora che la gente si rivolta contro i tiranni in nome della libertà e della giustizia, e non in nome della religione, ecco che si preoccupano”. La libertà è prorotta in piazza Tahrir e sulle pagine Twitter degli attivisti egiziani. Wael Ghonim, il blogger diventato l’icona della piazza, ha affidato alla rete il suo messaggio: “Ce l’abbiamo fatta, grazie ai giovani egiziani che sono morti per la libertà”. E’ una nuova alba per il popolo egiziano, non credo vogliano recedere dalle loro conquiste.
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